Le nostre storie

Ecco le nostre storie, fatte di comprensione, amore, sostegno e quotidianità

9 Febbraio 2014

Non è vero che le persone arrivano nella tua vita quando meno te lo aspetti. IO Elisa l’ASPETTAVO DA tanto…
Quando l’ho conosciuta io ero sposata, 20 anni di relazione con quest’uomo, da cui sono nate le mie due splendide bambine, Anna e Camilla. Quando ho visto Elisa per la prima volta tutto mi è parso chiaro e lucido. Quello che da tempo aspettavo era proprio LEI.

Non è vero che le persone arrivano nella tua vita quando meno te lo aspetti. IO Elisa l’ASPETTAVO DA tanto…
Quando l’ho conosciuta io ero sposata, 20 anni di relazione con quest’uomo, da cui sono nate le mie due splendide bambine, Anna e Camilla. Quando ho visto Elisa per la prima volta tutto mi è parso chiaro e lucido. Quello che da tempo aspettavo era proprio LEI.
Quella splendida creatura, che mi faceva battere il cuore e arrossire ogni volta che anche solo pensavo a lei, la volevo nella mia vita. Ma non come amica, c’era qualcosa di più grande e SPECIALE che mi portava verso di Lei. Mi ero INNAMORATA DI UNA DONNA! Contrariamente a quanto si può pensare non ho avuto né stupore e né chissà quale crisi esistenziale. Anzi. Tutto era perfettamente in sintonia con il mio essere. E dopo soli 15 giorni ho chiesto la separazione da mio marito. L’unica cosa che mi dava molta preoccupazione erano le mie bambine. Nonostante quell’amore grande e meraviglioso guardavo ogni giorno le mie figlie e mi chiedevo che vita gli avrei prospettato. Mi domandavo come avrei potuto vivere una storia d’amore così PULITA all’oscuro di tutti, nascondendoci come clandestine… Come avrei potuto vivere gioiosamente sapendo che qualcuno avrebbe potuto emarginare le mie figlie per le mie scelte di vita? Abbiamo passato un anno e mezzo davvero duro.. ma poi, le risposte a tutte queste domande SONO ARRIVATE DA SOLE. Sono arrivate quando io mi allontanai da lei per paura di non farcela… per CODARDERIA oserei dire. E lì, proprio lì capii.. Semplicemente NON MI SAREI DOVUTA NASCONDERE. PERCHE’ LE PAURE SONO I MAGGIORI IMPEDIMENTI CHE PUOI METTERE NELLA TUA VITA. L’amore è la più grande forza che l’Universo ha… LE PAURE invece SONO SOLO PAURE. NON SONO REALTA’. Da quando le abbiamo RISOLTE, tutto è andato in discesa.. Viviamo insieme, con le mie bambine, che ora sono un po’ anche le sue.. una Famiglia Vera insomma. Ringrazio ogni giorno di avere trovato il coraggio di Vivere la mia Vita .. perche ora è tutto perfetto e Meraviglioso. Abbiamo un sogno, che si sta realizzando. Allargare la nostra bellissima e speciale Famiglia… e dare a Camilla e Anna un fratellino. Ci siamo rivolte alla clinica Eugin di Barcellona per l’I.A. dove abbiamo trovato il personale davvero molto ospitale e attento. Elisa porterà in grembo il nostro bambino, e anche se per la legge italiana io sarò invisibile, anche se non mi conferiranno nessun diritto verso di lui…. Beh.. lui AVRA’ due mamme, due sorelline, 4 nonni, 3 zie E UN SACCO DI CUGINETTI. Anna e Camilla a scuola raccontano di essere una Famiglia Arcobaleno.. ne vanno Fiere…e con entusiasmo parlano del fratellino in arrivo. Ecco, questa per me è la Vittoria più Grande. E non c’è riconoscimento Migliore. Grazie mie Dolci Creature… Katy e Elisa con Anna, Camilla e… (Brescia)

12 Giugno 2012

Non avevo mai pensato di far parte di una minoranza.
Prima di avere Martino, il mio essere lesbica era fondamentalmente un fatto privato. Certo, gli amici e i parenti stretti sapevano, grossi problemi dovuti alla mia omosessualità non ne avevo avuti, per cui il non avere certi diritti non mi toccava troppo.

Non avevo mai pensato di far parte di una minoranza.
Prima di avere Martino, il mio essere lesbica era fondamentalmente un fatto privato. Certo, gli amici e i parenti stretti sapevano, grossi problemi dovuti alla mia omosessualità non ne avevo avuti, per cui il non avere certi diritti non mi toccava troppo.
Anche il non potermi sposare non era un grosso ostacolo visto che comunque, anche se fossi stata etero, non credo mi sarei sposata.

Ma… è nato un bimbo e questo ha cambiato tutto.

La mancanza di diritti e di riconoscimento della coppia e del genitore elettivo sono una spada di Damocle e i vari documenti redatti per tentare di colmare il vuoto legislativo in realtà sono solo un palliativo.

Per la prima volta ho capito che significa far parte di una minoranza non tutelata dalla legge.

Ma allo stesso tempo ho provato l’incredibile leggerezza della visibilità totale, perché la pancia non si poteva nascondere. E cosí da fatto privato il mio essere lesbica è diventato fatto pubblico, che ha investito tutti i miei parenti, gli amici, i conoscenti ed anche semplici sconosciuti, gli inquilini del palazzo in cui abitiamo e ancora i colleghi di lavoro.
E investirà un numero sempre maggiore di persone, per il semplice fatto che Martino ha 2 mamme e perché quando la gente per strada mi ferma per dirmi quant’è bello e resta basita quando scopre che ha solo 4 mesi e allora si sente in dovere di commentare: “Ma allora deve aver preso dal papà” si sente rispondere: “Non lo so, non ha un papà, perché l’ho avuto con la mia compagna da donatore anonimo!”

Per la prima volta da quando ho capito di essere omosessuale, grazie a Martino posso vivere la mia vita di coppia alla luce del sole, con chiunque, e questo mi/ci ha dato una tranquillità e una felicità nonché una leggerezza che non credevamo possibili.
Tanto da non capire perché abbiamo aspettato cosí tanto!

O meglio: la paura di non essere accettate e capite nel nostro progetto di vita di coppia prima, e di maternità poi, sommata ad un po’ di omofobia interiorizzata faceva si che ci bastasse vivere allo scoperto solo con chi e quando lo volevamo.

Avevo giá partecipato ad altri Pride, ma questo (Bologna Pride 2012) è stato il primo con Martino, il primo con FA e soprattutto il primo in cui abbia concretamente fatto qualcosa tanto da sentirlo un po’ davvero mio.

Mi ha dato la voglia di fare di piú, di espormi di piú, e di pretendere di piú.

C’era Paola Concia in sfilata, abbiamo sentito le ennesime promesse di Bersani.
L’anno scorso alla Festa dell’Unità non ricordo se a Scalfarotto o a Concia chiesero perchè noi gay dovevamo continuare a votare il PD nonostante le tante promesse mai mantenute. La risposta fu che altri non c’erano che avrebbero portato avanti la battaglia per il riconoscimento dei nostri diritti.

Forse è vero, di sicuro né la Lega né il PDL faranno qualcosa, ma personalmente non credo che il PD riuscirà ad attenere qualcosa, sono cosí poco uniti e ci sono cosí tante correnti al suo interno che non riusciranno mai ad accordarsi…

Credo invece che sia arrivato il momento che le maggiori associazioni omosessuali si decidano una buona volta a mettere in pratica una forma condivisa e forte e con buona risonanza mediatica di disobbedienza civile, che si faccia sentire e che pesi davvero in campagna elettorale prima e sul voto effettivo poi.

Immagino qualcosa tipo il rifiuto di prendere le schede, no non andando a votare, ma presentandosi al seggio e facendo mettere a verbale che Tizio si è presentato al seggio, ma non vota perché non rappresentato dalle liste o dai candidati.
Se si riuscisse a coordinare affinché chi aderisce a questa campagna si presenti nei seggi tutti alla stessa ora, tipo a mezzogiorno che è un orario di massima affluenza, si creerebbe un disagio generalizzato senza mettersi al di fuori della legge.
E dato che una buona parte degli omosessuali vota a sinistra, il PD dovrebbe preoccuparsi…

Certo, un’azione del genere implica la visibilità e il metterci la faccia, ma se non pretendiamo e non ci prendiamo noi i nostri diritti, nessun altro ce li darà, ed è molto meglio metterci la faccia che perderla!

Bene…spero di non essere stata troppo confusa e contorta.

Buona notte a tutt*,

Elisa

20 Marzo 2012

A scuola di Flavio si festeggia la festa del papà e Flavio ha le idee chiarissime sull’argomento “sai mamma, lunedì è la festa del papà di Tiziano ed anche quelle delle mie mamme”.
Dopo la piccola incomprensione dello scorso anno che abbiamo “raddrizzato” in corsa, quest’anno abbiamo deciso di lasciar fare alle maestre che si sono comunque mostrate attente e ricettive…

A scuola di Flavio si festeggia la festa del papà e Flavio ha le idee chiarissime sull’argomento “sai mamma, lunedì è la festa del papà di Tiziano ed anche quelle delle mie mamme”.
Dopo la piccola incomprensione dello scorso anno che abbiamo “raddrizzato” in corsa, quest’anno abbiamo deciso di lasciar fare alle maestre che si sono comunque mostrate attente e ricettive…

dobbiamo dire che hanno recepito la nostra posizione ed oggi Flavio ha consegnato il suo bel lavoretto per le sue mamme: un cagnolino di cartoncino con 2 cuoricini sopra (uno rosso per mammalalla ed uno color argento per mammamari (evitate le battute sul colore dei mie capelli!!! grazieee:-))) ed una poesia al femminile plurale:
“Mamme per la vostra festa,
volevo dirvi tante cose belle,
ma tante, tante quante le stelle.
Ma la mia bocca è ancora troppo piccina
e ho il cuore commosso stamattina.
Poche parole so dirvi intanto:
mamme vi voglio bene tanto, tanto!”
Le maestre ci hanno detto che il doppio cuoricino ha scatenato l’invidia dei compagnetti di classe! hi, hi ,hi,,, ne siamo fiere! 🙂
Le abbiamo ringraziate per come hanno gestito la cosa e loro ci hanno risposto che ormai realtà come la nostra cominciano a diventare sempre più frequenti.
Qualche settimana fa ad un corso di aggiornamento “istituzionale” (organizzato dal Dipartimento del Comune di Roma) si è parlato delle nostre famiglie con tanto di presentazione di “Piccolo Uovo” e “Più ricche di un Re”!

Ragazz*, la verità è che FA… sta perdendo il controllo della situazione!!!! 🙂
Piccolo Uovo & c. sono ovunque ed ormai camminano da soli… è stata una bellissima scoperta!

Forza ragazz*, andiamo avanti con forza ed ottimismo… i nostri figli ce lo impongono!

buona serata
Marilena e Laura con Flavio (4 anni) – Roma

23 Novembre 2013

Simona ed io ci siamo conosciute 10 anni fa e questo novembre abbiamo festeggiato 8 anni trascorsi insieme: anni meravigliosi, in cui il nostro amore non ha fatto altro che maturare e crescere. Anni indimenticabili che hanno acceso piano piano dentro di noi il desiderio di formare una famiglia, di sposarci, avere dei bambini, vivere questo grande amore con loro e continuare a crescere con loro.

Simona ed io ci siamo conosciute 10 anni fa e questo novembre abbiamo festeggiato 8 anni trascorsi insieme: anni meravigliosi, in cui il nostro amore non ha fatto altro che maturare e crescere. Anni indimenticabili che hanno acceso piano piano dentro di noi il desiderio di formare una famiglia, di sposarci, avere dei bambini, vivere questo grande amore con loro e continuare a crescere con loro. Esattamente un anno fa abbiamo deciso di intraprendere la ricerca di nostra figlia: ci siamo quindi affidate alle leggi danesi, che ci avrebbero permesso di sperare in quel sogno. Dopo due mesi e mezzo dal primo tentativo, Simona mi ha chiesto di sposarla a Brugge, vicino a Bruxelles, in un parco meraviglioso, e lì ho sentito realizzarsi un altro mio desiderio, dopo tutti quelli già realizzati con e grazie a lei: il desiderio di essere ufficialmente la sua persona, di essere la compagna della sua anima… Anche se è il cuore che conta, l’ufficialità della cosa ci consacra davanti a tutto il mondo e questo è così romantico… È, così, iniziata l’organizzazione del nostro matrimonio. Previsto per agosto di questo stesso anno, ci siamo subito attivate per i documenti che sarebbero serviti in Danimarca e, nell’attesa di averli a disposizione… sono rimasta incinta di Zoe. Si può immaginare la felicità che ha caratterizzato quei mesi: vedere la nostra piccola crescere dentro di me di settimana in settimana, iniziare a sentirne i movimenti, a cogliere le delicate risposte che con i piedini e le manine dava ai nostri richiami, percepirne la dolcezza e cogliere appieno la sacralità di ciò che ci stava accadendo. Il tutto insieme all’organizzazione del giorno in cui, dopo tanto tempo, avremmo finalmente coronato il nostro sogno di diventare coniugi, con l’unico rammarico che a nominarci tali sarebbe stato un Paese estero e non la nostra Nazione di nascita. I giorni sono passati tra tanta emozione, trepidazione e l’amore che, unendoci, ci faceva sentire sempre più sicure e forti. Il 19 agosto 2013 ci siamo sposate nel Comune di Copenhagen, la nostra città adottiva. Ripensare a quei momenti fa sempre scorrere qualche lacrima di emozione. Sposarci ha significato toccare con l’anima e ogni parte del corpo quel momento che in Italia ci è negato; ma questo non ci ha impedito di costruire la nostra famiglia della quale non possiamo che parlare a testa alta, sicure dell’amore, dei progetti e del rispetto che la fondano. La nostra Zoe è stata concepita a Copenhagen, presso la Stork Klinik, alla quale ci siamo rivolte avendo sentito fin dalle prime mail un’accoglienza piena di umanità e calore, attenzioni e chiarezza che ci hanno fatto sentire a casa. Ed è stata, questa, una sensazione fondamentale in un momento in cui, per l’ennesima volta, il nostro Stato ci lasciava da sole, senza possibilità di costruire una famiglia, di essere almeno riconosciute come coppia esistente, di avere un minimo di tutela. Abbiamo fatto il primo colloquio con un’ostetrica della clinica via skype, durante il quale abbiamo affrontato non solo gli aspetti tecnici dell’IUI (inseminazione intra uterina), ma anche gli aspetti emozionali che questo passo avrebbe comportato e le motivazioni di alcune nostre scelte (il donatore anonimo, per esempio). E’ stata chiara la serietà della politica della clinica: offrire la possibilità di diventare genitori accompagnando la coppia nel percorso, laddove vi siano perplessità, dubbi, paure. A dispetto delle nostre aspettative di giovani italiane abituate a standard di accoglienza della coppia omosessuale ben diversi, in clinica anche Simona ha firmato un documento nel quale entrambe abbiamo dichiarato di impegnarci a prenderci cura di nostra figlia: incredibile ma vero, all’estero la mamma non biologica viene considerata nel pieno dei suoi diritti, doveri e dignità di genitore a pieno titolo! Il primo tentativo non è andato a buon fine, ma il secondo… quello sì e in questi giorni ci regalerà il suo frutto, la nostra piccola Zoe… Le tue mamme ti aspettano… Simona, Gloria e Zoe nel pancino (Brescia)

31 Gennaio 2010

“Sono la co-mamma del decreto di cui si parla”

31 gennaio 2010, sono quasi quattro anni che non vedo G. e L.. Anzi, non è vero, li ho visti per pochi attimi durante gli incontri voluti dagli psicologi incaricati dal Tribunale per i Minorenni ed avrei voluto che il tempo allora si fermasse.

“Sono la co-mamma del decreto di cui si parla”

31 gennaio 2010, sono quasi quattro anni che non vedo G. e L.. Anzi, non è vero, li ho visti per pochi attimi durante gli incontri voluti dagli psicologi incaricati dal Tribunale per i Minorenni ed avrei voluto che il tempo allora si fermasse.
Pochi giorni fa mi è stata notificata la sentenza del Tribunale. Continuerò a non vedere i miei bambini.
Poi sono apparsi articoli che potrebbero rendere felici i genitori omosessuali e gli omosessuali che desiderano avere dei bambini e tutti coloro che credono che gli omosessuali possano avere una famiglia. Ma non è vero. Non è vero che il TM ha sentenziato che i figli di genitori omosessuali crescono senza disagi e soprattutto non è vero che venisse messa in dubbio l’adeguatezza della mamma biologica a causa della propria omosessualità, come invece dice ed alta voce la sua legale, il cui nome, unico, compare a suggerire la maternità dell’articolo.
La sentenza è stata pronunciata perché quattro anni fa la mia ex compagna, mamma biologica dei nostri bambini, che portano entrambi i nostri nomi, ha deciso di non farmeli più vedere ed io, non sopportando il dolore di questa scelta, ho presentato un’istanza al Tribunale per i Minorenni.
Capirei una scelta radicale come quella della mia ex compagna, se avessi mai fatto davvero del male ai bambini. Una madre può decidere di proteggere la propria prole da un co-genitore che li maltratta, che ne abusa, che ne mette le vite in pericolo.
Io certo, come qualunque genitore, non sono stata perfetta. Ma soprattutto ho avuto la colpa di non rispondere più alle sue aspettative. Si è trovata una nuova compagna, cosa comprensibile. Ha deciso di cancellarmi dalle loro vite, dicendo che questo era per il bene dei bambini. Questo invece non riesco ad accettarlo.
Se fossi un uomo, suo marito o il suo compagno, la legge la obbligherebbe a condividere la genitorialità con me, con le visite, i week end programmati, le vacanze e le feste ad anni alterni. Dovrei anche partecipare alle spese per la loro crescita.
La sentenza invece dice che, pur riconoscendo la mia figura come ‘genitoriale’ ed il nostro vivere insieme come ‘famiglia’, io non sono titolare del ‘diritto potestativo’, che spetta unicamente ai genitori biologici o adottivi.
Nella sentenza il mio chiedere ad alta voce la possibilità di rivedere quelli che sono stati dalla nascita e continuano ad essere, nel mio cuore, i miei figli è stato additato come un bisogno quasi capriccioso, egoistico, insano. Se fossi stata un padre, anche un padre adottivo, a nessuno sarebbe venuto in mente di discutere il mio desiderio, anzi, il mio desiderio sarebbe stato legge. Ma nessuna legge oggi sostiene il mio desiderio di co-mamma, nessuna legge riconosce il mio diritto di amore verso quei bambini, né il loro diritto di poter continuare ad amarmi, invece di essere condannati a detestarmi o a dimenticarmi, perché la loro mamma biologica si è scordata il nostro progetto comune o lo ha rinnegato.
Tante volte mi sono chiesta se il mio provare a risalire la corrente, il tentare di combattere contro una scelta di chiusura, quello che nella sentenza i giudici hanno definito “la cocciutaggine del procedere contro tutti”, avesse un senso, un diritto, una speranza, ma soprattutto se non avrebbe potuto alla fine procurare delle ferite ai bambini. Quante volte me lo sono chiesta. Che decisione difficile è stata quella domanda che è arrivata nell’aula del Tribunale. E che coraggio devo riconoscere, a quel Tribunale per i Minori, che in assenza di qualunque norma a legittimare le mie richieste, pur rigettando la mia istanza, ha deciso di proseguire per scoprire come stessero i bambini e quale fosse il loro vissuto affettivo dopo la separazione tra me e loro.
I miei bambini stanno bene. Ora stanno bene, stanno crescendo.
I periti del Tribunale hanno stabilito che questa situazione è quella tipica di una “sindrome da alienazione genitoriale” (sindrome di Gardner), cioè quello che accade quando il genitore che ha con sé i figli decide di tagliare completamente i rapporti con l’altro genitore. I figli sono costretti, per sopravvivenza, per adattamento, per lealtà verso il genitore con cui vivono, a sposarne le scelte, i punti di vista. Così, a furia di sentir dire che l’altro genitore è inadeguato, è cattivo, non è e non deve essere più presente, anche per loro l’altro si allontana. E’ anche un modo per rendere meno forte il dolore della mancanza. All’inizio tutto sembrerà reggere, i danni si manifesteranno col tempo.
Quando i miei bambini mi hanno visto, durante gli incontri con i periti, non riuscivano nemmeno a guardarmi negli occhi, tenevano le teste basse o voltate. Poi però affioravano i ricordi dei momenti insieme. In un pianto, in un attimo di apertura, uno di loro mi ha gridato che ero stata io a non volerli più vedere.
Come può una madre raccontare ai propri figli una bugia tanto dolorosa?
I miei figli però per il momento stanno bene, così ha concluso il Tribunale. Sopravviveranno alla mia assenza.
Anch’io ho imparato a sopravvivere senza di loro. Con tanto dolore. Con tanti ricordi. Con tante speranza di poterli un giorno rivedere, ritrovare. E vorrei tanto raccontare loro di come sono cambiata, di come cresco anch’io, di come, credo, potrei capirli meglio e di più ed aiutarli più e meglio ad essere dei giovani esseri in un mondo meraviglioso.
Chissà se la loro mamma potrà capire mai che questo tentativo un po’ caparbio di rivedere i suoi bambini è perché quei bambini per me sono i nostri. Che quello che ho fatto e che rifarei ancora non è stata una battaglia contro di lei ma una testimonianza d’amore verso i miei figli.
Mi auguro che questo Paese sia in grado di crescere, di farlo presto. Le famiglie di coppie omosessuali esistono, che piaccia o no. E in queste famiglie nascono dei figli, che piaccia o no. Questi figli meritano la stessa tutela che hanno tutti gli altri bambini. Ed i genitori non biologici non possono essere semplicemente ignorati, perché se non figure di sangue, geni o leggi, sono indubbiamente figure d’amore.

11 Settembre 2010

Mi chiamo Andrea, ho 45 anni, mi sono sposato a 32 anni (nel ’96) dopo 8 anni di fidanzamento con una donna che conoscevo sin da quando ero ragazzo e della quale ero sinceramente e profondamente innamorato. Abbiamo avuto due figli, ora di 13 e 11 anni.
La vita coniugale purtroppo non ha funzionato e in me sono affiorate necessità dormienti, mai pienamente emerse, che nel 2003 hanno preso forma (e sostanza).

Mi chiamo Andrea, ho 45 anni, mi sono sposato a 32 anni (nel ’96) dopo 8 anni di fidanzamento con una donna che conoscevo sin da quando ero ragazzo e della quale ero sinceramente e profondamente innamorato. Abbiamo avuto due figli, ora di 13 e 11 anni.
La vita coniugale purtroppo non ha funzionato e in me sono affiorate necessità dormienti, mai pienamente emerse, che nel 2003 hanno preso forma (e sostanza). Nel 2005 ci siamo separati e mia moglie ha ottenuto dal Giudice della Separazione di impedirmi di mettere a contatto dei figli uomini da lei non conosciuti per impedirmi di comunicare ai figli il mio “nuovo” orientamento sessaule ipso facto o comunque non insieme a mia moglie quando la maturazione dei bambini l’avesse permesso.
Nel 2008, avendo un compagno oramai dal 2006 (Vieri) ho condotto una battaglia in tribunale per farmi autorizzare a rivelare ai miei figli la mia omosessualità.
Nel maggio del 2009 li ho informati: dopo un primo comprensibile stupore, la reazione è stata ottima: quando sono con me (più o meno metà del loro tempo) viviamo tutti e 4 insieme e ne parlano con una certa disinvoltura coi loro amici e con chi entriamo in contatto in vacanza. Ci scherzano e vivono il tutto in modo sereno e naturale (anche perchè la ex-moglie non è omofoba e glielo ha trasmesso). Sono stati anni duri ma i risultati sono sotto i nostri occhi. Siamo una FAMIGLIA, così come ha scritto mia figlia quando venerdì 30 luglio le ho chiesto di farmi qualche disegno nuovo da mettere al muro per sostituire quelli vecchi!

24 Aprile 2009

Settembre 2000. Nasce il desiderio di un bimbo. Nasce come dev’essere: nella pancia. Poi però passa al cervello: lavoro sicuro, casa sicura, bella cerchia di amici, appoggio della famiglia. E poi passa al cuore: ok, provo!

Settembre 2000. Nasce il desiderio di un bimbo. Nasce come dev’essere: nella pancia. Poi però passa al cervello: lavoro sicuro, casa sicura, bella cerchia di amici, appoggio della famiglia. E poi passa al cuore: ok, provo!
Due particolari non comuni: sono lesbica e single. Entrambi considerati da me né problemi, né limiti, ma solo diversità.
Non l’ho scelto di essere sola. Ero pronta in un momento in cui ero sola e dopo dei sani dubbi non mi sono fermata.
L’auto inseminazione l’avevo conosciuta direttamente dalla voce di Lisa Saffron nel ’96.
Ho cercato un donatore a testa bassa, indifferente ai no ricevuti.
Aprile 2001. Lo trovo. Primo tentativo. Perdo il bimbo. Scopro che è molto più comune di quello che pensavo.
Aprile 2002. Secondo tentativo 🙂
Nasce Giacomo.
Le persone che mi sono vicino non mi deludono e passano gli anni.
Sono consapevole che devo mostrare a Giacomo che non è l’unico bimbo con una mamma lesbica.
Sono tra le prime iscritte alla Lista Lesbica Mamme, che dopo un po’ di vacanze e incontri, fa nascere Famiglie Arcobaleno.
Non mi ci impegno per svariati motivi, ma sono disposta a mettere la mia faccia e così sono sul documentario “Le Famiglie Arcobaleno” e accetto di andare a “I viaggi di Nina”.
Molte donne che vogliono confronto ora trovano la mia casa aperta per chiacchierare e questo è il mio modo di fare politica. La faccio ogni giorno anche con la scelta del mio stile di vita che ora si svolge in cima a una collina dell’astigiano tra orto, accoglienza, autoproduzioni varie e impegno.
Il cambiamento dalla città non è stato facile e le fatiche e le delusioni non poche, ma anche le soddisfazioni e i sogni realizzati.
Osservo Giacomo e lo vedo saldo e questo mi aiuta.
Lui sa come è nato, che non ha un padre, ma un donatore, ma pare proprio che non gli interessi sapere chi è.
Una volta a scuola ha raccontato che suo padre era morto perché i compagni non riuscivano a credere che non l’avesse e le maestre nonostante il coming out non l’hanno appoggiato.
Quando me l’ha raccontato rideva :-)… sa già destreggiarsi nelle difficoltà.
Ho costruito una situazione dove il nostro vivere in cima a una collina da soli, non sia isolamento, ma scambio e ricchezza… e per ora funziona.
Non credo sia possibile spiegare cosa significa essere madre single: non più fare il bagno da sola senza schizzi e paperette, decidere se cambiargli scuola o no, se vaccinarlo o no, senza il confronto con una persona che vive il suo quotidiano, non poterti permettere un attimo di stacco, neppure se stai male.
Ma sono contenta delle mie scelte.
Giacomo è una scoperta, un impegno, ma soprattutto un’immensa fonte di energia.

28 Marzo 2009

Storia di una famiglia: due mamme, un papà e due bimbe
Annie Saltzman e Micaela Pini

Storia di una famiglia: due mamme, un papà e due bimbe
Annie Saltzman e Micaela Pini

Micaela 1996
Micaela, psicologa, era incinta a 34 anni al 3° mese, frutto di una sola notte d’amore con un uomo di 50 anni.
Lei aveva deciso di definirsi una bisessuale, pur sapendo nel profondo che amava col cuore più le donne che gli uomini, ma il desiderio di maternità era più importante.
Aveva deciso di far crescere il figlio da single.
Il padre del bambino era un medico che viveva più all’estero che in Italia .

Annie 1996
Annie, cantante americana, da 20 anni residente in Italia, era reduce da una storia di sette anni con convivenza. Storia che l’aveva distrutta, ma era finalmente pronta a tornare ad amare e a sorridere all’amore.
Anche se aveva 39 anni e viveva con lei un bambino di 8 anni in affidamento.

Micaela e Annie 1996
In casa di un’amica comune.
Come d’incanto l’impossibile si trasformò in realtà.
Ogni cosa era al suo posto.
Si respirava l’armonia, perché tutto era assolutamente vero per quello che si sentiva e si vedeva.
Due universi a ritrovarsi in capo ad un bacio e a decidere in quell’istante di non lasciarsi mai più.
Da quel primo bacio iniziò la vita insieme al bambino al quale avremmo dato una fratello o una sorella.
Tutte le certezze che Micaela aveva in testa e nella vita cambiarono in qualcosa di meglio.
Micaela decide di fare outing nella famiglia e nella società: c’era solo il desiderio di condividere col mondo la propria gioia di vivere l’amore e la maternità.
Al quarto mese, in seguito all’amniocentesi, Micaela perde il bambino.
Il Primo grande dolore.
Micaela è frastornata da questo passaggio dalla gioia alla tristezza profonda, ma il desiderio di aver figli la tiene con lo sguardo avanti.
Più forte della vita stessa c’era il desiderio, che pian piano diventò di nuovo una freccia con cui scagliarsi nella vita.
Grande periodo di riflessione.
Quando si sa bene quello che si vuole non c’è più spazio per il desiderio ma è già determinazione.
Non volevamo ricorrere alla banca del seme, la medicalizzazione della gravidanza era un freno in nome anche del fatto che volevamo una figura reale come padre per i nostri bambini.
Studiammo tutto sull’autoinseminazione, grande periodo di autoconoscenza e scoperta del meccanismo biologico femminile.
Conoscemmo due uomini gay che stavano assieme da più anni ai quali proponemmo l’avventura della gravidanza, saremmo stati una famiglia con doppia coppia.
C’era una grande progettualità: una grande casa insieme e due appartamenti vicini e così via…
Ben presto Micaela rimase incinta, ma al terzo mese di nuovo perse il bambino.
La cosa fu devastante per tutti.
I ragazzi decisero di non voler più riprovare e si resero conto che diventare padri stava diventando qualcosa di troppo grande per loro.
Di nuovo a ripensare tutto daccapo. E c’era anche da fare i conti con l’età biologica di Micaela.
Pian piano le cose tornarono nella pienezza del desiderio e della progettualità: Annie conosceva sin dagli anni d’università negli USA un amico, anche lui americano come lei, che già in passato si era offerto come donatore per una ex-fidanzata di Annie.
A lui piaceva l’idea di poter diventare padre e nel contempo essere libero nelle sue relazioni sentimentali con le donne.
Così insieme decidemmo di avere il bambino; avremmo anche abitato non troppo lontani l’uno dall’altro. Il bimbo avrebbe avuto cosi doppio cognome e doppia cittadinanza.
Al primo tentativo di autoinseminazione Micaela rimase incinta e portò avanti la gravidanza con la paura di perdere di nuovo il bambino.
Paura superata grazie alla consapevolezza che esisteva qualcosa di più grande della paura stessa e che per questo davvero valeva la pena di andare avanti.
Quello è stato il pensiero costante di Micaela: “Fare sì che il bambino vivesse”
Finché le paure restano delle ombre, esse rimangono paure; devono essere invece usate per conoscersi ed aprirsi ad esse.
Micaela poteva crescere attraverso la gravidanza e così poteva educare i nostri figli alla libertà d’essere.
In tal modo Micaela trasformava le sue paure in luce che poteva illuminare la vita.
Non c’è niente di più bello di che scoprire di scoprirsi.
Questo è l’amore per la vita.

Ecco. Micaela ora si rivolge a quella parte della lista Famiglie Arcobaleno di donne e madri silenti, ma grandi divoratrici di lettere della Lista Arcobaleno:
Fate tesoro del vostro esser madri lesbiche e non abbiatene paura. Lo siete perché dovete scoprire la vostra ragion d’essere. Guardatevi dentro e troverete tutto un universo che aspetta solo d’essere conosciuto.
Se avete paura di voi stesse come madri lesbiche, i figli la pagheranno perché la paura della madre per il figlio diventa solo menzogna.
Se noi siamo felici per prime di noi stesse, anche i nostri figli lo saranno. Se non lo siamo e ce ne vergogniamo, loro saranno i primi ad essere confusi (anche laddove siamo convinte del contrario).
I nostri figli hanno bisogno di chiarezza e sincerità, perché LORO stessi sappiano come muoversi nella vita.
E così arrivò prima Rebecca nel 1999 e poi nel 2001 Noa.
Nel 2007 ci siamo sposate negli USA a Provincetown; Annie ha anche potuto aggiungere il cognome di Micaela al suo.
Prossimamente aderiremo alla rete Lenford per il riconoscimento del matrimonio straniero in Italia.

21 Marzo 2009

Sonia e Ilaria si sono conosciute 4 anni fa, erano colleghe.
Sonia aveva una relazione con una donna da circa due anni, Ilaria era single, eterosessuale, ha sempre avuto il ragazzo…

Sonia e Ilaria si sono conosciute 4 anni fa, erano colleghe.
Sonia aveva una relazione con una donna da circa due anni, Ilaria era single, eterosessuale, ha sempre avuto il ragazzo… anche una relazione seria in cui si era parlato di matrimonio… relazione che invece col tempo Ilaria ha chiuso, non era la persona che faceva al caso suo.
La relazione di Sonia era in crisi e tormentata.. Sonia e Ilaria iniziano a conoscersi così.. in questo contesto.. le giornate al lavoro passavano tranquille.. col tempo Sonia e Ilaria iniziano a guardarsi con occhi diversi.. si cercano.. si mancano.. Sonia cerca di rifiutare l’idea perchè è impegnata e perché teme che Ilaria abbia solo un’infatuazione.. un fuoco fatuo.. così cercano di non vedersi.. Ilaria cambia lavoro.. passa il tempo.. ma loro non sono cambiate.. Ilaria parte per un viaggio e lascia a Sonia una lettera.. dove le dice che è innamorata di lei.. le scrive TI AMO.. e le dice che è serena per il suo sentimento, che non le importa cosa pensano gli altri.. lei sa che è autentico.. Ilaria ha 22 anni allora e Sonia 29.
Tornata dal viaggio Ilaria va da Sonia per darle una maglietta che le ha preso durante la permanenza all’estero.. Sonia l’accetta e poi le dice che non devono vedersi più.. si baciano un’ultima volta.. Ilaria se ne va.. stavolta se ne va davvero, pensa Sonia.. Quel giorno era a cantare ad un matrimonio (il suo secondo lavoro).. cantava col dolore nel cuore.. dopo qualche ora Ilaria le scrive che si era rivista col suo ex.. che l’ha cercata proprio quel giorno.. che non sa come farà ma cercherà di dimenticarla.. Sonia impazzisce.. nel tornare a casa si perde in auto.. deve chiamare il suo migliore amico che le da istruzioni per farla tornare a casa, la sua mente era sconvolta perché aveva realizzato di averla persa.. piange.. non sa che fare.. nel frattempo la relazione di Sonia va sempre più in pezzi.. perchè Sonia non riesce più neanche a baciare la sua compagna da quando ha perso l’anima tra le braccia di Ilaria.. così Sonia decide di chiudere questa storia.. va a vivere da sola.. con un cucciolo di meticcio preso al canile.. Remì…
Ilaria si ripresenta.. ma Sonia non vuole che se tra loro debba iniziare qualcosa di serio inizi in quel modo.. perchè Sonia ora è vuota.. ha le macerie di una storia chiusa sul petto.. da togliere pezzo per pezzo.. Ilaria aspetta.. con enorme pazienza accetta gli atteggiamenti bisbetici di Sonia.. aspetta… aspetta.. ma non molla.. dopo un anno circa.. si fidanzano.. poi la convivenza. l’amore che cresce.. forte.. e Remì con loro, sempre.
E oggi.. Sonia e Ilaria.. stan per partire per il loro secondo tentativo in Danimarca per avere un figlio/a, han legalizzato la loro unione con un patto di convivenza privato.. sperando che in questa Italia qualcuno un giorno decida di tutelarle.
Ora a far veglia su questa famiglia l’amore… l’amore.

14 Marzo 2009

“Sarò forte per lottare non solo per me e Francesco, come facciamo da anni, ma anche per nostro/a figlio/a?” “Gli assistenti sociali potranno mai metterci i bastoni tra le ruote? Cosa possono farci?”
Questi erano i dubbi che giravano sempre per la testa di Luca (che forse aveva visto troppe volte “Ladybird ladybird” di Ken Loach) ogni volta che Francesco gli proponeva di avere un figlio.

“Sarò forte per lottare non solo per me e Francesco, come facciamo da anni, ma anche per nostro/a figlio/a?” “Gli assistenti sociali potranno mai metterci i bastoni tra le ruote? Cosa possono farci?”
Questi erano i dubbi che giravano sempre per la testa di Luca (che forse aveva visto troppe volte “Ladybird ladybird” di Ken Loach) ogni volta che Francesco gli proponeva di avere un figlio. In che modo non sapevano ancora. La surrogacy era un’opzione allora sconosciuta a loro.
Francesco glielo chiedeva praticamente dal secondo giorno della loro lunga relazione (a tutt’oggi si amano da oltre 13 anni), ma Luca resisteva sempre. Non che fosse convinto di non poter essere un buon padre, anzi; ma era spaventato da tanti problemi pratici, dal fatto che in Italia le coppie omosessuali non esistono; non esistono per la legge, non vengono mai prese in considerazione in alcun contesto, sono state anche cancellate dall’ultimo censimento, chissà quali dati sarebbero emersi. Figuriamoci aggiungere un figlio! Quanti problemi avrebbero avuto? All’anagrafe? A scuola? Con i vicini di casa? Qualcuno dice che esistono figli di coppie gay e lesbiche anche in Italia. Ma dove sono? Perché non si vedono mai? Esistono davvero o sono una leggenda metropolitana?
Tutto cambiò nella testa di Luca e nella percezione che avevano entrambi di una famiglia omosessuale con figli il giorno in cui conobbero, grazie ad una loro amica, una coppia di gay che avevano avuto da poco una figlia negli Stati Uniti. Sono bastati pochi istanti ad osservare la tranquillità di quella famiglia così speciale e così “normale” per sciogliere qualsiasi resistenza Luca ancora avesse. “Si può fare. C’è chi lo ha già fatto e vive serenamente. Perché non noi?”.
Ed ecco allora i nostri due imbarcarsi per gli Stati Uniti per chiedere informazioni alle agenzie, alle cliniche e trovare chi dava loro la maggiore ispirazione e fiducia. Fin quando arrivarono in Canada, paese poco conosciuto, “fratello minore” degli USA, che aprì la mente e il cuore di entrambi. Un paese dove non c’è tolleranza, ma reale integrazione. Lo vedi negli sguardi della gente, lo senti nell’aria, dopo un po’ che ti aggiri tra loro capisci cos’era quel ronzio, quella cosa all’angolo dell’occhio che sfuggiva sempre, quel non so che di inaspettato. E forse alla fine dei conti è proprio quello che li ha convinti a fare i primi passi verso la paternità in quel bellissimo, sconfinato, accogliente paese.
E lì in Canada hanno trovato due donne meravigliose che li stanno aiutando nel loro percorso. Donne meravigliose come tutte quelle che accettano di aiutare chi non può avere figli. Donne dalla mentalità aperta, che li ringraziano per aver dato loro modo di poter parlare di omosessualità ai propri figli, di poter spiegare loro che non importa se ad amarsi sono un uomo e una donna o due uomini o due donne; l’unica cosa che conta è che ci sia amore tra loro.
Così Luca e Francesco vanno avanti, sorretti dalle famiglie, dagli amici e dai nuovi compagni di strada delle Famiglie Arcobaleno. E vanno avanti senza nascondersi, parlando con gli altri, spiegando come e perché, discutendo anche con chi non approva, spesso anche loro omosessuali: e cercano di smontare certezze incrollabili, falsi psicanalismi, omofobie interiorizzate da decenni e cristallizzatesi in dure posizioni di chiusura.
Luca e Francesco vanno avanti, tirano dritto, anche se questa non è una favola e la strada non sempre è facile. Scrivono queste righe proprio a poche ore dalla notizia del loro secondo tentativo andato a vuoto. Scrivono per scacciare il pessimismo, per esorcizzare tutti i dolori. E alzano la testa, continuano per la loro strada, fatta d’amore, di fiducia e di speranza.

4 Marzo 2009

Non sembrano lontane le domenica in campagna trascorse con il fratellino, la mamma ed il papà. Eppure gli anni sono passati in fretta e Federica è cresciuta, ha studiato per diventare infermiera, si è trasferita a Roma, si è sposata e ha avuto una bimba, Arianna. Poi, a 32 anni, conosce Cecilia, un’altra infermiera, più giovane di sei anni, che lavora nello stesso ospedale. Fanno amicizia, escono insieme: il cinema, lo shopping, il parco gioco con la bimba…

Non sembrano lontane le domenica in campagna trascorse con il fratellino, la mamma ed il papà. Eppure gli anni sono passati in fretta e Federica è cresciuta, ha studiato per diventare infermiera, si è trasferita a Roma, si è sposata e ha avuto una bimba, Arianna. Poi, a 32 anni, conosce Cecilia, un’altra infermiera, più giovane di sei anni, che lavora nello stesso ospedale. Fanno amicizia, escono insieme: il cinema, lo shopping, il parco gioco con la bimba…
Federica sta bene con Cecilia. C’è un feeling molto forte sin dal primo istante. Cecilia è simpatica, intelligente, affascinante. Cecilia le fa battere forte il cuore. Cecilia… è una donna! Federica è confusa all’inizio, poi, quando le sue emozioni iniziano a pretendere di essere chiamate con il loro vero nome, la confusione diventa panico. “Ero felice, lei mi faceva sentire meravigliosamente. Ma ero anche terrorizzata e le ho detto che era una storia impossibile, che io avevo una bambina e che mai e poi mai avrei potuto vivere questo amore per lei, che mai e poi mai io e lei saremmo potute stare insieme, che era una cosa assurda ed impensabile…”.
Federica sceglie di scappare, letteralmente. Fugge da sua madre, a duecento chilometri di distanza. “Non c’è modo di vivere… questa cosa!” ripete al telefono a Cecilia: “Non c’è modo!”. E Cecilia le continua a rispondere: “Se non c’è, lo inventeremo noi. Insieme”.
Federica è fuggita col corpo, ma capisce che la sua mente ed il suo cuore sono ancora a Roma, con Cecilia. No, non potrai mai fuggire davvero. Sì… ma Arianna, che ormai ha quattro anni, come crescerà Arianna? Ed è meglio crescere in una casa con due persone legate solo dalla tristezza, dalla menzogna e dall’obbligo o con due persone legate dall’amore? Dopo due settimane decide: torna a Roma. Da Cecilia, non dal marito.
“Ma che cosa c’hai in quella testa, Federica?” le dicono in tanti: “Butti via tutto? Distruggi tutto?”. Il più furibondo è ovviamente il marito, che per nulla al mondo vuole permettere che la bimba cresca con due donne: “Non si è mai sentito nulla di simile al mondo!”. Non mancano i momenti di tensione. E di paura.
Ma Federica non cede, anche grazie al grande sostegno offerto dall’associazione Famiglie Arcobaleno. E piano piano, giorno dopo giorno, anche chi le sta attorno inizia a capire che Federica fa sul serio, che non è stata la follia di un momento. E, soprattutto, che Federica non vuole distruggere, ma costruire… Costruire qualcosa di vero, di sincero: non si può vivere nella menzogna.
E lentamente anche il rapporto con l’ex marito migliora: “Si è reso conto da solo che la bambina sta bene, è serena, contenta e soprattutto equilibrata! Gli abbiamo dimostrato piano piano che anche due donne possono crescere insieme un figlio serenamente, che non c’è nulla di cui aver paura”. Arianna è oggi in affidamento condiviso e passa molto tempo anche con il padre, che può vederla quando vuole.
E così sono già due anni che Federica, Cecilia e Arianna vivono sotto lo stesso tetto: “Io e Cecilia condividiamo la quotidianità, gestiamo il budget mensile, cresciamo insieme la bambina cercando di educarla al meglio e seguendola in tutte le sue attività, dalla scuola alla palestra, ai giochi… Non abbiamo nulla di meno rispetto alle famiglie ‘convenzionali’, eccetto il riconoscimento legale della nostra unione”.
Sì, perché per la legge italiana la famiglia di Federica e Cecilia semplicemente non esiste. Nonostante vivano come qualsiasi famiglia. Nonostante il loro progetto sia quello di vivere insieme per tanto, tantissimo tempo, e magari per sempre. Tant’è vero che stanno progettando l’arrivo di un altro bambino, grazie all’inseminazione artificiale. Ovviamente all’estero, perché in Italia a loro è proibito. “Pensiamo che sia assurdo e ingiusto non permettere a due persone che si amano e che sono una famiglia, di avere un desideratissimo figlio, solo perché omosessuali”.
Andare all’estero per far nascere il bambino avrà costi notevoli, lo stress psico-fisico sarà altissimo e, una volta nato, il bambino risulterà figlio solo della madre biologica, mentre la compagna, che pure amerà e crescerà il piccolo tanto quanto la madre biologica, per la legge non sarà nessuno. Ma le due mamme non cederanno neppure questa volta: “Che dire? Purtroppo la situazione è questa, ma non rinunceremo a nostro figlio e faremo tutto quello che servirà!”.
E passeranno i giorni, i mesi, gli anni. E arriverà il tempo in cui anche Arianna ricorderà la sua infanzia e le sue domeniche trascorse con il fratellino e le loro due tenaci mamme…

4 Marzo 2009

Silvia e Catia, impiegate in una grande società di telecomunicazioni del napoletano, sono semplicemente “due persone che si sono innamorate come succede ogni giorno a milioni di persone”.
Forse però si sono innamorate nel paese sbagliato, visto che l’Italia è uno dei pochi membri dell’Unione Europea a non prevedere alcuna forma di riconoscimento giuridico per le unioni omosessuali: “Per lo Stato noi coppie omosessuali siamo famiglie fantasma.

Silvia e Catia, impiegate in una grande società di telecomunicazioni del napoletano, sono semplicemente “due persone che si sono innamorate come succede ogni giorno a milioni di persone”.
Forse però si sono innamorate nel paese sbagliato, visto che l’Italia è uno dei pochi membri dell’Unione Europea a non prevedere alcuna forma di riconoscimento giuridico per le unioni omosessuali: “Per lo Stato noi coppie omosessuali siamo famiglie fantasma. Dobbiamo condividere ogni giorno con una completa mancanza di tutela e di sicurezza. Ad esempio, nel caso di morte del compagno la famiglia d’origine ha diritto a ereditare tutto ciò che era del figlio, compresa l’eventuale parte della casa, del conto corrente, dell’autovettura o di qualsiasi altra cosa, anche se acquistata insieme, dividendo spese e sacrifici. E poi se una di noi dovesse subire un incidente e rimanere incosciente sarebbe informata solo la famiglia d’origine che avrebbe il diritto completo di decidere sulle visite, sulle cure e sull’assistenza”.
In questo quadro difficile, Silvia e Catia, grazie anche all’associazione Famiglie Arcobaleno, hanno deciso di affrontare il percorso della genitorialità. Un percorso difficile: “Io sarò per lo Stato una ragazza madre e quindi la mia compagna non avrà nessun diritto sul nascituro, nonostante l’amore e l’impegno morale ed economico, e dovrà vivere costantemente con l’incubo che mi possa capitare qualcosa. In quel caso la mia famiglia di origine avrebbe priorità sul bambino, anche nel caso non ci parlassi o non la vedessi da anni”. Ma non occorre pensare solo alle tragedie: “In caso di nostra separazione, potrei decidere di non farle vedere più il bambino e lei non potrebbe fare nulla”.
Sono queste le angosce e le paure con cui convivono tante famiglie omosessuali, soprattutto quelle in cui ci sono bambini.
“Andrò a partorire con il testamento sotto braccio e sperando che tutto vada bene”: una frase terribile, ma normale nell’Italia del 2009. Per questo Silvia e Catia lanciano un appello: “Spesso le persone danno per scontati i diritti di cui godono e continuano a chiedersi il motivo delle nostre battaglie. A queste persone chiediamo di fermarsi un momento a riflettere e provare almeno per una volta a guardare attraverso i nostri occhi”.

4 Marzo 2009

Giusi ha 43 anni, la sua compagna Cristina 40, la loro bambina Luisa 6, mentre ne ha solo 2 il cane, che si chiama Odie come il beagle dei fumetti di Garfield. Giusi insegna, Cristina fa l’impiegata, Luisa va a scuola, mentre Odie… beh, non pensate che sia sempre così facile stare dietro ad una bambina di due anni!

Giusi ha 43 anni, la sua compagna Cristina 40, la loro bambina Luisa 6, mentre ne ha solo 2 il cane, che si chiama Odie come il beagle dei fumetti di Garfield. Giusi insegna, Cristina fa l’impiegata, Luisa va a scuola, mentre Odie… beh, non pensate che sia sempre così facile stare dietro ad una bambina di due anni!
Giusi e Cristina, siete una famiglia?
“Sì”.
Ma la legge italiana dice di no e non vi riconosce (e quindi non vi tutela) né come coppia né come madri.
“Non è certo un pezzo di carta in più che ci certifica che siamo una famiglia, ma è assurdo: lavoriamo, paghiamo le tasse, votiamo, ma ci è negato il diritto fondamentale di essere riconosciute come famiglia!”.
Eh sì, perché Giusi e Cristina, con la loro piccola Luisa, hanno avuto la sfortuna di essere nate in Italia e di abitare nella “modernissima” Lombardia.
“I nostri politici, sia di sinistra che di destra, non hanno mai fatto niente per noi. E non sembrano intenzionati a farlo”.
E così hanno deciso di andar via. Anche perché, nonostante finora non ci siano stati particolari episodi di omofobia, l’inizio della scuola della piccola fa un po’ paura: “I bambini possono essere crudeli, soprattutto se supportati da genitori ignoranti, nel senso che ignorano la nostra situazione”.
E così Giusi e Cristina a maggio si sposeranno in Spagna, paese dove hanno intenzione di andare a vivere: “Lo facciamo principalmente perché nostra figlia sia tutelata, cosa che qui in Italia è impossibile. In Spagna Luisa sarà adottata dalla madre non biologica in modo che non abbia problemi nel caso una delle due venisse a mancare”.
Sì, perché il matrimonio sarà pure un pezzo di carta, ma porta con sé diritti.
“E poi pensiamo che, dopo dieci anni che ami una persona, sia la logica conclusione, indipendentemente dall’orientamento sessuale”.
Giusi, Cristina e Luisa. Chiamatele pure come volete: emigranti, esuli, fuggiasche… Ma per prima cosa chiamatele “famiglia”.

14 Febbraio 2007

Lisa Marie, 3 anni e mezzo, è tornata a casa con un disegno bellissimo: un grande cuore colorato di rosso e dentro, ritagliati, due figure feminili: una con i capelli chiari e il rossetto (sic) e l’altra con i capelli neri, senza rossetto!!!!
C’era scritto sul foglio in alto: “oggi 14 febbraio 07, giorno degli innamorati”.

Lisa Marie, 3 anni e mezzo, è tornata a casa con un disegno bellissimo: un grande cuore colorato di rosso e dentro, ritagliati, due figure feminili: una con i capelli chiari e il rossetto (sic) e l’altra con i capelli neri, senza rossetto!!!!
C’era scritto sul foglio in alto: “oggi 14 febbraio 07, giorno degli innamorati”.
Sul foglio c’erano pre-stampate 4 figure: un papà, una mamma, un fratellino e una sorellina.
Ogni bimbo doveva ritagliare i membri della sua famiglia e incollarli in bel mezzo del cuore.
Si vede che la maestra è andata a prendere un secondo foglio e ha ritagliato una seconda figura di mamma 🙂
Lo so che a molti può sembrare esagerato estasiarsi per così poco ma tutto ciò avviene, lo ricordo, in un paesino dell’Irpinia di 1500 abitanti 🙂 e io lo trovo stupendo. Ma lo è anche quando succede a Roma o a Milano.

25 Marzo 2007

Sull’amore
Nostra figlia di 3 anni e mezzo guarda alla tv i Barbapapà. Mi sente chiamare il cagnolino che abbiamo adottato e dirgli di uscire a giocare in giardino.

Sull’amore
Nostra figlia di 3 anni e mezzo guarda alla tv i Barbapapà. Mi sente chiamare il cagnolino che abbiamo adottato e dirgli di uscire a giocare in giardino.
“Mamma, no!”
“No, che?”
“Non voglio che Cachou esca!”
“E perché?”
“Perché io gli voglio bene, deve stare vicino a me”
“Ah si! e sai che io ti amo più di ogni altra cosa al mondo, allora da oggi in poi tu non vai più a scuola, non giochi più con i tuoi amici e devi stare sempre attaccata a me perché ti amo tanto tanto tanto!!!!”
“Mamma, fallo uscire!”

10 Luglio 2007

Ieri sera mentre cenavamo Lisa Marie ci ha detto una cosa bellissima che voglio condividere con voi perché a volte c’è chi si chiede se abbiamo fatto bene a mettere al mondo i nostri figli con due mamme o due papà, se non ce lo rimprovereranno un giorno o l’altro.

Ieri sera mentre cenavamo Lisa Marie ci ha detto una cosa bellissima che voglio condividere con voi perché a volte c’è chi si chiede se abbiamo fatto bene a mettere al mondo i nostri figli con due mamme o due papà, se non ce lo rimprovereranno un giorno o l’altro.
Be’, intanto, ora che ha 4 anni e 3 mesi, so per certo che lei è ben felice di esserci al mondo, e di esserci con noi 🙂
Ieri sera ad un tratto ci ha detto :
“Sai, quando ero ancora nelle stelle, quando non ero ancora nata, io mi sono avvicinata a una stella, ho parlato alla stella e le ho detto che volevo scendere nel mondo e vivere in una casa piena di luce. Allora ho cominciato a scendere lungo un filo e sono arrivata nella casa di mamma Tà e di mamma Pina “
:)))))))))))

7 Febbraio 2008

Stasera Raphaelle è andata a prendere Lisa a danza.
Una bambina appena più grande di Lisa Marie chiede alla bimba “è venuta a prenderti tua zia?”
LM: “No, è mamma mia”

Stasera Raphaelle è andata a prendere Lisa a danza.
Una bambina appena più grande di Lisa Marie chiede alla bimba “è venuta a prenderti tua zia?”
LM: “No, è mamma mia”
Bimba: “Ma prima non era tua mamma che è venuta a portarti?”
LM: “Sì, era mamma Giuseppina”
Interviene Raphaelle e dice alla bimba: “Eh, sì, a casa nostra ci sono due mamme!”
Bimba: “E il papà?”
Raphaelle: “Da noi, non c’è il papà, ci sono due mamme”.
La bimba era perplessa, la sua di mamma non c’era dunque Raphaelle non poteva nemmeno darle spiegazioni.
Bè, insomma non è facile così su due piedi, essere coerenti e onesti, dire la verità senza entrare nei particolari quando l’interlocutore è una bimba di sei anni.
Immagino che appena torna a casa ne parlerà con i suoi genitori!
Eppure avevamo detto tutto alla maestra e anche a un paio di altre mamme ma si vede che non sono cosi pettegole come speravamo 🙂

25 Marzo 2009

Famiglie omogenitoriali a scuola
Ieri era una giornata incontro scuola/famiglie.
Le maestre hanno messo un biglietto nello zainetto della piccola e ci hanno invitate a venire a scuola a fare insieme ai bimbi un calendario.

Famiglie omogenitoriali a scuola
Ieri era una giornata incontro scuola/famiglie.
Le maestre hanno messo un biglietto nello zainetto della piccola e ci hanno invitate a venire a scuola a fare insieme ai bimbi un calendario.
Eravamo invitate insieme, tutte e due, come erano invitati tutti i genitori. Siamo andate ovviamente e c’erano altri genitori: un papà e una mamma, molte mamme sole, un papà solo, e noi due. Tutti insieme, a lavorare con i nostri bimbi, seduti sulle sedioline piccole. Nostra figlia ci ha presentato i suoi amichetti del cuore e saltava dalle mie braccia a quelle dell’altra sua madre.
Era così semplice, naturale, tranquillo, … una famiglia diversa fra tante famiglie diverse, ognuna avrà avuto la sua particolarità, magari meno evidente 🙂
Così si vive in una famiglia omogenitoriale, insieme agli altri, in un piccolo paese dell’Irpinia,
perso su una collina, con della gente non meno chiusa, né meno stupida che nelle grandi città cosmopolite del nord.

25 Ottobre 2006

Siamo appena tornate dal primo incontro del corso preparto.
Cinque minuti prima dell’inizio, in sala d’attesa, abbiamo attaccato il manifestino del convegno, visto che il luogo potrebbe essere frequentato da qualche interessat*.

Siamo appena tornate dal primo incontro del corso preparto.
Cinque minuti prima dell’inizio, in sala d’attesa, abbiamo attaccato il manifestino del convegno, visto che il luogo potrebbe essere frequentato da qualche interessat*.
Abbiamo chiesto prima il permesso e nessuno si è opposto.
Quando si sono radunate tutte le mamme, l’ostetrica ha distribuito il materiale a tutte, anche alla mia compagna. Lei l’ha ringraziata ma le ha detto che “noi siamo una sola famiglia e ce ne bastava uno”. L’ostetrica non ha battuto ciglio.
Poi durante il corso (senza papà) lei è sempre stata con me e anche qui non ci sono stati commenti o curiosità.
Quando l’ostetrica ha fatto delle domande sul marito, io ho detto che non potevo rispondere perché non ne ho mai avuto uno.
Le altre mamme sono state molto carine anche se non credo abbiano capito bene la “situazione”.
Comunque a fine corso abbiamo spiegato all’ostetrica che non ho un marito perché questo figlio l’abbiamo voluto insieme e ci siamo sottoposte ad una fecondazione artificiale. Lei è stata molto tranquilla, ci ha chiesto un po’ di cose, fra cui “da quando condividiamo il nostro cammino?” .
Ha detto che a volte la diversità spaventa, al che le abbiamo risposto che noi abbiamo scelto di vivere alla luce del sole, ma che non siamo nè le prime nè le uniche che hanno dei figli così in Italia. Insomma non siamo poi tanto “diverse” o strane, solo diciamo le cose come stanno.
E’ proprio vero che le persone sono più disponibili di quel che ci si aspetta, e che dire le verità ci aiuta a vivere meglio.